La resistenza di Parma all'assedio delle camicie nere
Nei primi giorni dell’agosto 1922, mentre in tutta Italia i lavoratori incrociavano le braccia per lo sciopero generale legalitario indetto dall’Alleanza del Lavoro, a Parma giunsero migliaia di camicie nere guidate da Italo Balbo, con l’obiettivo non solo di fermare lo sciopero ma anche di mettere a ferro e fuoco i quartieri popolari della città, da tempo noti per il loro ribellismo e sovversivismo.
All’alba del 2 agosto 1922 affluiscono a Parma circa 15 mila squadristi provenienti da tutta l’Emilia, dal Veneto, da parte della Toscana, dal Mantovano e dal Cremonese. Il prefetto e il questore ritirano tutta la forza pubblica dai quartieri a rischio (l’Oltretorrente e il Naviglio), mentre gli arditi del popolo, – che da giorni attendevano la spedizione punitiva – si organizzarono erigendo barricate e sbarramenti e per tre giorni resistettero in armi agli assalti fascisti finché, all’alba del 6 agosto, Balbo dovette ordinarne la smobilitazione.
La difesa di Oltretorrente fu una lotta di popolo vera e propria. La divisione tra combattenti e ausiliari non-combattenti, usuale per qualsiasi conflitto civile, non è in questo caso ben determinabile. Accanto ai circa trecento arditi del popolo c’è infatti la quasi totalità della popolazione. Le uniche forze politico-sindacali che sostengono apertamente la rivolta (oltre al nucleo “picelliano” della Camera confederale del lavoro di via Imbriani) sono quelle dei sindacalisti rivoluzionari dell’UldL (con sede presso la Camera del lavoro di Borgo alle Grazie, guidata da Vittorio Picelli, fratello di Guido), dell’Unione sindacale parmense (aderente all’USI) e dei libertari (UAI).
Quattro caduti si registrarono fra le file delle formazioni di difesa proletaria: Ulisse Corazza, consigliere comunale del Partito Popolare Italiano, Giuseppe Mussini, Mario Tomba e Gino Gazzola, quest'ultimo a soli 14 anni. Il diciassettenne Carluccio Mora morì colpito da un proiettile vagante mentre giocava a calcio in un campetto della periferia.
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