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Ho detto con mio padre: "Forse rincaso tardi, ma tu non preoccuparti!",
così sono tornato a casa come un topo, però dieci anni dopo.
Dapprima il genitore non era contento del mio comportamento,
ma avevo una cravatta e allora l′ho mostrata, pendente sotto al mento.
L'ha guardata soddisfatto, e poi mi ha salutato, e quindi mi ha abbracciato.
Finito di cenare, mi ha chiesto noncurante perché del mio ritardo.
Gli ho detto che ero stato in giro in tanti posti, tra monti, valli e boschi.
Mi ha chiesto di descrivere, per lui che le ha sognate, le terre visitate.
Ho cantato le montagne e l′oceano infinito, il cielo sconfinato.
Ho parlato della fame antica dell'Oriente, del vizio in Occidente.
Ho accusato e maledetto gli ebrei, gli americani, di vile genocidio,
l'epidemia dei negri trattati come i cani e l′angoscia degli indiani.
Ho pianto disperato l′antica Palestina, ridotta ad un macello,
il razzismo clericale vestito di menzogna, coperto di vergogna,
il sadismo della legge che abusa di potenza e vive di violenza.
Ho pianto per il Vietnam, teatro del confronto assurdo dei potenti.
Mio padre si nutriva soltanto di giornali e di televisione,
così, per quanto ho detto, non sono mai riuscito a toccargli la ragione.
Mi ha dato del bugiardo, poi duro mi ha guardato e quasi mi ha picchiato.
E poi, per non sentire nemmeno una parola, l'esercito ha chiamato.
Ed i carabinieri non vollero esulare la loro competenza.
Dissero che ero anarchico e andavo a bombardare i tralicci della luce,
che andavo per il mondo in modo improduttivo ed ero dispersivo.
Così mi hanno mandato a farmi analizzare al manicomio criminale.
Aspetto la mia sorte e intanto sto scrutando curioso i loro visi.
Forse mi impiccheranno, però non è sicuro, perché sono indecisi.
Gli ebrei son per bruciarmi sessantasei milioni di volte per nazismo,
e per gli americani è meglio assai cassarmi per sporco comunismo.
I preti mi hanno detto che vogliono inchiodarmi appeso ad una croce,
e i figli del benessere vorrebbero strozzarmi per togliermi la voce,
i ricchi per sfruttarmi mi voglion trasformare in chimico concime,
e invece gli avvocati mi vogliono impiccare, finché giunga la fine.
Se indosso il paraocchi, mio padre mi ha giurato, mostrandomi una carta,
posso tornare a casa insieme alla mia mamma, a vedere la tivù!
Informazioni
Canzone facente parte dell'album Il centro del fiume, stampato e distribuito nel 1977. Testo di Pierangelo Bertoli e musica di Marco Dieci.
Fonte
Domenico Mangiardi, Pierangelo Bertoli. Un emiliano tragico non è un vero emiliano, Giunti Editore, 2006
Mario Bonanno, Rosso è il colore dell'amore. Intorno alle canzoni di Pierangelo Bertoli, Stampa Alternativa, Viterbo, 2012
Scheda del canto
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EppureSoffia
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