La Maria Antonia
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GRANDUCHESSA:
Il dì ch'io tornerò
ne' mi' paesi
mi rivedran
ne' mie' sembianti veri
Vo'colle trecce
delle livornesi
farmi le materassa
e gli origlieri
Sopra il trofeo
dei miei diritti offesi
avrò sogni più dolci
e lusinghieri
Io le farò tosar
da' mi' croati
come barboni
'un furon mai tosati
POPOLANA:
Altezza queste trecce
o nere o bionde
l'abbiam già tronche
noi di propria mano
per tender l'archi
e risarcir le fionde
ai difensori
dell'onor toscano
or fasceran
le margini profonde
ai volontari
del lombardo piano
Ma voi non ci godrete
ore tranquille
vi pungeranno, altezza,
al par di spille
Addio Livorno,
addio paterne mura
forse mai più
non vi potrò vedere
i miei parenti
sono in sepoltura
e lo mio damo
è sotto alle bandiere
io vado a seguitare
alla ventura
un’arma in mano
anch’io la so tenere.
Informazioni
Scritto da F.Dall'Ongaro, ricorda il benevolo e materno affetto di Maria Antonietta seconda moglie di Leopoldo di Lorena detto Canapone, granduca di Toscana, che, emula della prozia che voleva che ci era senza pane si comprasse brioches, secondo l'opinione personale di Dell'Ongaro (non sostenuta da alcuna prova) avrebbe immaginato di vendicarsi sulle donne di Livorno per la perdita del potere, tra l'autunno del '48 e la primavera del '49.
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Commenti
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liberabis il 04/10/2015 - 16:18 ha scritto:
In http://www.150anni.it/webi/index.php?s=46 (traccia n.7) è cantata (con qualche lieve differenza), l'ultima strofa.