Il tarlo

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In una vecchia casa, piena di cianfrusaglie, di storici cimeli, pezzi autentici ed anticaglie, c'era una volta un tarlo, di discendenza nobile, che cominciò a mangiare un vecchio mobile. Avanzare con i denti per avere da mangiare e mangiare a due palmenti per avanzare. Il proverbio che il lavoro ti nobilita, nel farlo, non riguarda solo l'uomo, ma pure il tarlo. Il tarlo, in breve tempo, grazie alla sua ambizione, riuscì ad accelerare il proprio ritmo di produzione: andando sempre avanti, senza voltarsi indietro, riuscì così a avanzar di qualche metro. Farsi strada con i denti per mangiare, mal che vada, e mangiare a due palmenti per farsi strada. Quel che resta dietro a noi non importa che si perda: ci si accorge, prima o poi, ch'è solo merda. Per legge di mercato, assunse poi, per via, un certo personale, con contratto di mezzadria: di quel che era scavato, grazie al lavoro altrui, una metà se la mangiava lui. Avanzare, per mangiare qualche piccolo boccone, che dia forza di scavare per il padrone. L'altra parte del raccolto ch'è mangiato dal signore prende il nome di "maltolto" o plusvalore. Poi, col passar degli anni, venne la concorrenza da parte d'altri tarli, colla stessa intraprendenza: il tarlo proprietario ristrutturò i salari e organizzò dei turni straordinari. Lavorare a perdifiato, accorciare ancora i tempi, perché aumenti il fatturato e i dividendi. Ci si accorse poi ch'è bene, anziché restare soli, far d'accordo, tutti insieme, dei monopoli. Si sa com'è la vita: ormai giunto al traguardo, per i trascorsi affanni il nostro tarlo crepò d'infarto. Sulla sua tomba è scritto: PER L'IDEALE NOBILE DI DIVORARSI TUTTO QUANTO UN MOBILE CHIARO MONITO PER I POSTERI QUESTO TARLO VISSE E MORI'.
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Fonte

Jona Emilio, Straniero Michele L., Cantacronache - Un'avventura politico-musicale degli anni cinquanta, Torino, Crel, 1996

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