Canti a méte dell'Alto Lazio
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E quanno vojo mète, e mète vojo,
padrò, non me passà cipolla e l'ajo,
padrò, non me passà cipolla e l'ajo
sinnò la metitura te l'imbrojo.
E quanto vojo mète e meterìa
si ce l'avessi la farcetta nova
e sotto all'ombra co' la bella mia.
Fiore de lino,
e quanto è bello er campo a mète 'r grano,
è quello che produce il contadino.
E la vorpe giù ner fosso perde er pelo,
padrò, passa er barlozzo, vengo meno.
Al contadino che mete lo grano
la farce je diventa un filo d'oro.
E viene mezzodì pe' li signori
ma pe' li contadì nun verrà mai.
È notte, è notte e lo padrò sospira,
dice ch'è stata curta la giornata.
Zitto, padrone mio, non sospirare,
prendi la borsa e prencepia a pagare.
Informazioni
Canto di mietitura raccolto nella provincia di Roma, interpretato dal Canzoniere del Lazio in "Lassa stà la me creatura", 1974
Da "La musica dell'altra Italia", sito non più online.
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